Sondrio su OpenStreetMap

16:32, Thursday, 23 2023 March UTC

Oltre 1200 numeri civici del comune di Sondrio dal mese di marzo sono disponibili su OpenStreetMap, il grande database collaborativo dedicato ai dati geospaziali aperti. L’operazione è stata resa possibile grazie alla collaborazione tra il comune di Sondrio, che ha rilasciato i dati con una licenza compatibile, i volontari di OpenStreetMap, che hanno messo a disposizione le loro competenze, e l’azienda SeTe srl, che ha seguito gli aspetti tecnici dell’operazione.

Dopo l’esperienza di Montagna di Valtellina, Sondrio si aggiunge alla lista di comuni che hanno scelto di pubblicare i propri numeri civici su OpenStreetMap, adottando anche per le frazioni un nuovo sistema di numerazione metrico più pratico nel caso si aggiungano nuove case al territorio.

Quello di Sondrio è un bel esempio di collaborazione tra pubblico e privato – spiega Lorenzo Stucchi, coordinatore nazionale di OpenStreetMap – con i volontari di OpenStreetMap protagonisti di un cambiamento di mentalità e di metodo di lavoro che speriamo si possa diffondere in tutta Italia, sia tra le istituzioni che tra le aziende che si occupano di fornire questi servizi. L’import dei numeri civici è fondamentale per tenere aggiornati i dati disponibili a tutti su OpenStreetMap, garantendone la qualità.

La scelta del comune di Sondrio potrà aiutare a fornire informazioni utili a tutti i servizi che si possono sviluppare grazie all’utilizzo delle mappe collaborative. Andrea Musuruane è stato uno dei volontari più attivi tra i mappatori di OpenStreetMap in questo progetto e spiega così le ragioni del suo impegno:

Import come quello di Sondrio arricchiscono il database di OpenStreetMap a beneficio di tutti, condividendo le informazioni georeferenziate dei numeri civici e facilitandone la ricerca da parte degli utenti finali: che siano mezzi di soccorso, corrieri, servizi di logistica o semplici cittadini. Moltissime app di navigazione usano oggi direttamente o indirettamente i dati aperti disponibili su OpenStreetMap.

La collaborazione tra volontari e SeTe srl è stata importante anche perché ha fornito un’occasione di formazione e trasferimento di conoscenze all’esterno della comunità di mappatori.

Come società di servizi cartografici e revisione della numerazione civica – spiega Lorenzo Bertolini amministratore di SeTe srl siamo felici di questa collaborazione tra i diversi soggetti che operano sul territorio per mettere a disposizione ed in condivisione i dati ufficiali relativi al nuovo stradario metrico delle frazioni di Sondrio su una piattaforma open come OpenStreetMap. In particolare ringraziamo il Comune che ha creduto in questa iniziativa e i volontari di OpenStreetMap che ci hanno supportato nel caricamento dei dati. Speriamo che anche altri enti seguano questa strada virtuosa.

Immagine: © OpenStreetMap contributors

Martedì 28 marzo, tra le 10 e le 13, appuntamento online per tutti gli operatori dei musei della Lombardia che vogliono scoprire come collaborare con i progetti Wikimedia. Il gruppo di lavoro di Tutti i musei su Wikipedia presenta infatti il progetto e spiega come vi si può partecipare. Organizzato in collaborazione con Regione Lombardia, l’incontro vuole affiancare l’aggiornamento su temi teorici e pratici per gli operatori dei musei, proponendo anche un’introduzione laboratoriale all’uso dei progetti Wikimedia.

Iscriviti all’evento

Cosa prevede Tutti i musei su Wikipedia

Promosso da Wikimedia Italia in collaborazione con ICOM Italia, Creative Commons Italia e il Dipartimento di Economia e Statistica “Cognetti de Martiis” dell’Università di Torino, Tutti i musei su Wikipedia si rivolge a tutti i musei ed enti culturali italiani, sostenendoli nella valorizzazione e accessibilità online delle loro collezioni sulle piattaforme globali Wikimedia Commons, Wikidata e Wikipedia. Un’opportunità per promuovere la disseminazione e la partecipazione attiva nella co-costruzione del sapere. 

I musei che aderiscono al progetto riceveranno il sostegno necessario per il caricamento di dati, testi e immagini delle proprie collezioni sui database di Wikidata e Wikimedia Commons. I contenuti condivisi dalle istituzioni partecipanti all’iniziativa, saranno disponibili con lo strumento CC0 e le licenze libere Creative Commons CC BY e CC BY SA.

Il programma del workshop

Oltre ai saluti di Paola Guzzetti – Dirigente Istituti e Luoghi della cultura della Regione Lombardia – e di Michele Lanzinger, presidente di ICOM Italia, nella mattinata, moderata da Maria Grazia Diani,  si affronteranno varie questioni di attualità sul rapporto tra musei e open access. Questi gli interventi previsti:

  • La conoscenza libera e i Musei. Dalla nuova definizione ICOM alle piattaforme di Wikimedia
     Sarah Dominique Orlandi, Coordinatrice gruppo ricerca Digital Cultural Heritage ICOM Italia
  • Il progetto Tutti i musei italiani su Wikipedia
     Iolanda Pensa, Presidente Wikimedia Italia
  • Le sfide e opportunità dell’Open Access per le Istituzioni culturali: spunti dall’evidenza empirica
     Enrico Bertacchini, Docente di Economia della Cultura, Università degli Studi di Torino
  • Le Open Access policy. Il modello proposto nel progetto 
     Deborah De Angelis / Lead di Creative Commons Italia

Il laboratorio pratico prevede invece:

  • Usare le piattaforme Wikidata, Commons e Wikipedia per i beni culturali
     Marco Chemello / specialista GLAM, Wikimedia Italia
  • Strumenti utili per monitorare la propria collezione sulle piattaforme Wikimedia
     Alice Fontana / Junior Researcher, Università degli Studi di Torino
  • Come partecipare al progetto Tutti i musei italiani su Wikipedia
     Cristina Dal Min / responsabile junior del progetto 

Guarda il programma completo

Immagine: Galleria d’arte moderna di Milano, di Alberto Panzani, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons

I vincitori del bando volontari 2023

09:23, Friday, 10 2023 March UTC

Anche nel 2023 Wikimedia Italia sostiene le idee dei volontari di OpenStreetMap e dei progetti Wikimedia. Con il bando volontari infatti verranno realizzate attività online e in presenza, in varie parti d’Italia, per far crescere la conoscenza condivisa, disponibile a tutti.

Mappare i percorsi per le bici giocando

Mobilità sostenibile, raccolta di dati geospaziali e coinvolgimento delle persone attraverso il gioco sono solo alcuni dei temi al centro del progetto presentato da Maurizio Napolitano.

Nel 2022 Francesco Weikmann, studente di Informatica presso l’Università di Trento, ha sviluppato con la Fondazione Bruno Kessler il progetto di un’applicazione per aggiungere dati geospaziali a OpenStreetMap giocando. L’idea è di creare delle sfide tra diversi partecipanti, invitandoli a percorrere dei percorsi ciclabili di una certa area, aggiungendo dal loro telefono informazioni sulle caratteristiche delle strade entro un certo limite di tempo.

L’app avrebbe il pregio di fornire uno strumento divertente per raccogliere dati utili non solo ai ciclisti, ma anche alle pubbliche amministrazioni, che una volta pubblicati su OpenStreetMap potrebbero essere usati per sviluppare nuove app o studi sulla mobilità. Tutti i materiali sviluppati fin’ora relativi all’app sono su GitHub e grazie al progetto sostenuto da Wikimedia Italia sarà possibile passare allo sviluppo vero e proprio, in collaborazione con l’azienda GISdevio.

Valorizzare le aree archeologiche su Wikipedia

Parte da una prima sperimentazione di successo il progetto proposto da Piergiovanna Grossi, che vuole organizzare visite guidate e maratone di scrittura su Wikipedia per far aumentare le visite a diversi siti archeologici veneti. Queste azioni di public archeology dimostrano infatti che una pagina su Wikipedia ben scritta può avere un impatto positivo sugli accessi a molti monumenti.

Il gruppo di volontari si dedicherà quindi all’area archeologica di via San Cosimo e a Villa di Valdonega di Verona; alla Villa dei Mosaici di Negrar e al Tempio di Minerva di Marano in provincia di Verona. Ma anche all’area archeologica di San Basilio di Ariano Polesine in provincia di Rovigo, a quelle di Criptoportico e della cattedrale di Vicenza, oltre che al complesso cultuale e funerario di Sovizzo, sempre in provincia di Vicenza.

Il progetto sarà realizzato in collaborazione con la Soprintendenza ABAP di Verona, Rovigo e Vicenza e prevede di realizzare o aggiornare le pagine delle aree archeologiche, caricando immagini di qualità su Wikimedia Commons.

Migliorare l’accessibilità ai testi su Wikisource

Il progetto presentato da Susanna Giaccai, Federico Benvenuti, Silvia Bruni, Gian Francesco Esposito e Luca Casarotti vuole invece migliorare per gli utenti ipovedenti l’accessibilità ai testi pubblicati su Wikisource.

Facendo ordine sulle pratiche già diffuse e sensibilizzando le comunità di volontari, ma anche studenti e bibliotecari universitari, il progetto prenderà alcuni testi di diritto romano come caso pratico su cui invitare tutti a formarsi e fare pratica.

Nello specifico, saranno caricati e trascritti tre testi di diritto romano in Wikisource e venti su Wikimedia Commons con pdf di buona qualità, in modo da mettere a disposizione degli studiosi una collezione significativa di libri. Gli studenti universitari potranno partecipare alla trascrizione e al caricamento dei testi su progetti Wikimedia.

Sostieni anche tu le idee dei volontari

Wikimedia Italia sostiene le iniziative dei volontari italiani grazie ai fondi raccolti attraverso le donazioni dei cittadini. Se vuoi aiutarci anche tu a diffondere la conoscenza libera in Italia e nel  mondo, dona ora.  Anche un piccolo contributo può fare la differenza.

Il nostro impegno per la trasparenza

Immagine: KTM Pro Team, di Pliman, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons

Giochi e licenze sono una cosa seria

09:23, Friday, 10 2023 March UTC

Dungeons & Dragons è un celebre gioco di ruolo nato negli anni ‘70 negli Stati Uniti, che si è diffuso grazie a varie traduzioni, versioni e adattamenti in tutto il mondo, ridiventando popolare negli ultimi anni. Il gioco richiama le atmosfere fantasy di mondi popolati da maghi, elfi e mostri e si basa su meccanismi di sfida e cooperazione tra i giocatori, ma anche di invenzione di storie e colpi di scena avvincenti.

Gran parte del successo di Dungeons & Dragons dipende anche dalla licenza con cui il gioco è distribuito. Wizards of the Coast, la società che ad oggi possiede i diritti del gioco, nel 2000 ha pubblicato il gioco con la Open Game License, che per oltre vent’anni ha permesso a chiunque di realizzare, usare e vendere contenuti legati a D&D, rispettando alcuni limiti su ambientazioni, personaggi e illustrazioni.

A inizio anno si è diffusa la notizia che Wizards of the Coast avrebbe voluto modificare la licenza, rendendo più stringenti i termini che riguardavano le opere derivate e seminando il panico tra molti appassionati. Dopo una mobilitazione che ha coinvolto giocatori, creatori e altri editori delle espansioni del gioco, l’editore ha aperto una consultazione tra le proprie comunità di riferimento. Il risultato è stata che non solo la licenza non è diventata più restrittiva, ma anzi è stata adottata una licenza Creative Commons, decisamente più favorevole alla creazione di opere derivate dal gioco originale.

Cosa prevede la nuova licenza di Dungeons & Dragons

Pubblicando il manuale di base di D&D con licenza Creative Commons CC BY 4.0, l’editore l’ha reso disponibile a tutti per qualsiasi scopo, anche commerciale, con la possibilità di creare opere derivate, a patto di citare sempre l’autore.

Le licenze Creative Commons sono alla base anche dei progetti collaborativi come Wikipedia e il suo impiego da parte di un gioco così popolare e di successo può dimostrare due cose. In primo luogo: condividere idee e contenuti creativi all’interno di comunità vitali rifiutando l’approccio “tutti i diritti riservati” è una scelta non solo possibile, ma anche di successo.

Valerio Perticone, volontario dei progetti Wikimedia che ha seguito la vicenda di D&D con attenzione, spiega:

“D&D è diventato popolare (e quindi anche profittevole) proprio coinvolgendo i giocatori, rendendoli partecipi del suo sviluppo. Per questo giocatori e dungeon master si sono irrigiditi quando hanno visto il rischio di vedere disperso questo potenziale. Ma le comunità vive e attive, come dimostrano anche i progetti Wikimedia, sono in realtà una risorsa”.

In secondo luogo, la scelta della licenza CC BY, dimostra come le licenze Creative Commons possano semplificare le regole per tutti, senza impedire nessuno sviluppo futuro. I giocatori potranno continuare a giocare a D&D come hanno sempre fatto e sia loro che l’editore attuale o altri potranno sviluppare nuove versioni, che potranno essere vendute o meno, senza limitare la creatività o le possibilità di guadagno per nessuno. Il tutto, facendo riferimento alla licenza CC BY 4.0, scritta per essere utilizzabile in tutto il mondo, armonizzandosi sulle leggi del diritto d’autore dei singoli Stati.

Controesempio italiano

Il tema delle licenze applicate ai prodotti creativi è più vicino all’esperienza quotidiana di ciascuno di quanto sembri. Molti usano Wikipedia senza sapere che, grazie alla sua licenza CC BY-SA 3.0, possono teoricamente copiare e incollare (ma anche rivendere) tutti i suoi contenuti ovunque: a patto di citare gli autori e applicare la stessa licenza.

Anzi, anche per delle abitudini non per forza positive favorite dalla legge italiana, molto spesso siamo portati ad applicare restrizioni al riuso dei beni comuni anche dove non dovrebbero esistere. Per esempio, impedendo di produrre un puzzle partendo da un’opera d’arte in pubblico dominio, come è avvenuto nel caso dell’Uomo Vitruviano.

La vicenda di Dungeons & Dragons può essere un esempio utile a molti, anche ai non appassionati ai giochi.

“La scelta della licenza libera Creative Commons – spiega sempre Valerio Perticone – è arrivata come una sorpresa per molti, ma è molto interessante. Il regolamento del gioco, tuttora protetto dal diritto d’autore, è stato messo a disposizione di tutti e questo ne ha assicurato il successo. Proprio la passione dei fan per il gioco potrebbe essere stato un ostacolo, nel breve termine, per generare maggiori profitti per l’editore. Tuttavia, quanti editori – ma anche direttori di musei, galleristi, o artisti – rimpiangerebbero di avere un pubblico globale di affezionati, pronti a ricevere, condividere e difendere prodotti e valori con questa passione?”

Immagine: Female Drow and Iced Bow by David Revoy, di David Revoy, CC BY 4.0, attraverso Wikimedia Commons

Insieme a Fondazione Edulife per l’open source

09:23, Friday, 10 2023 March UTC

Wikimedia Italia e Fondazione Edulife hanno firmato una convenzione per unire il proprio impegno a favore della cultura digitale e della condivisione della conoscenza. Insieme, le due organizzazioni potranno aumentare la consapevolezza sul funzionamento, l’uso, la creazione ed il miglioramento del patrimonio informatico distribuito con licenze libere (secondo le definizioni di Open Source Initiative e Free Software Foundation) e sviluppato con metodologie collaborative.

Fondazione Edulife è una Onlus votata all’innovazione sociale e alle esperienze educative destinate principalmente ai giovani. Negli ultimi tempi la fondazione ha creato OLOS, Osservatorio e Laboratorio per l’Open Source (OLOS), progetto dedicato alla sperimentazione e realizzazione di tecnologie open source per promuovere i talenti umani all’uso consapevole delle tecnologie esponenziali, al fine di generare nuove forme di sostenibilità nei territori.

Insieme, Fondazione Edulife e Wikimedia Italia si impegneranno a realizzare attività pensate per far aumentare l’uso, lo sviluppo e la divulgazione delle applicazioni software distribuite con licenza libera e per promuovere l’uso delle licenze libere a diversi livelli, all’interno e all’esterno delle organizzazioni stesse e collaboreranno su progetti di affinamento ed  arricchimento della conoscenza e della consapevolezza in ambito  informatico.

La convenzione durerà tre anni e sarà un’occasione per coinvolgere volontari dei progetti Wikimedia, beneficiari attuali e futuri della fondazione e tutti i membri delle comunità legate al mondo dell’informatica e dell’open source in Italia.

Immagine: Derivata da Digital Education & The Open Space With Herbert Acheampong, di Jwale2, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons. Pubblicata con la stessa licenza.

Nuove voci sulle donne su Wikipedia

07:55, Wednesday, 08 2023 March UTC

Non solo per la giornata delle donne, ma sempre è possibile scrivere nuove voci dedicate alle donne su Wikipedia. In particolare, per il mese di marzo, le volontarie e i volontari di Wikipedia in Italiano hanno lanciato l’iniziativa “Donne maggiori di venti”, che vuole aumentare le voci di donne ancora mancanti.

Il criterio scelto è quello delle biografie femminili assenti su Wikipedia in Italiano, ma presenti in almeno altri 20 progetti. A chi vuole contribuire è quindi richiesto di verificare la rilevanza enciclopedica dei profili e iniziare una nuova voce o una traduzione.

Il divario di genere su Wikipedia

La scarsa rappresentazione delle donne su Wikipedia, in tutte le lingue, è un problema noto ai volontari più attivi, che negli anni ha fatto nascere diverse iniziative che vogliono ridurre il divario di genere presente su Wikipedia. Per esempio, nel 2014 è nato il progetto Women in Red, che in meno di nove anni ha contribuito a portare le biografie di donne dal 15.53% al 19.48% su Wikipedia in lingua inglese.

Anche la comunità italiana è attiva su questi temi: il gruppo Wikidonne e altre volontarie e volontari da anni si impegnano per lo stesso obbiettivo: aumentare le voci di donne su Wikipedia, che possano essere fonte di informazione, ricerca e ispirazione per chiunque.

Un impegno condiviso

Anche Wikimedia Italia partecipa a queste inziative. Oltre ad aver sostenuto le attività del gruppo WikiW a Bologna, concentrato sulla scrittura di voci di donne dimenticate, ha da poco firmato una convenzione con Soroptimist International proprio rivolta alla riduzione del divario di genere su Wikipedia.

Immagine: Logo Donne maggiori di venti, di Civvì, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons

Venerdì 24 febbraio 2023 il Tribunale di Venezia ha emesso un’ordinanza secondo cui Ravensburger, una casa di produzione di giochi tedesca, dovrà pagare alle Gallerie dell’Accademia di Venezia una somma di denaro per aver riprodotto su un proprio puzzle l’immagine dell’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci. Essendo Da Vinci morto da più di settant’anni, le sue opere appartengono al pubblico dominio e, anche tra gli addetti ai lavori, non tutti concordano su questo approccio alla gestione delle opere su cui i diritti d’autore sono scaduti.

Pubblichiamo di seguito un contributo di Deborah De Angelis e Brigitte Vézina, rispettivamente rappresentante di Creative Commons Italia e direttrice dell’area Policy and Open Culture di Creative Commons. L’articolo è stato pubblicato con il titolo originale The Vitruvian Man: A Puzzling Case for the Public Domain sul sito di Communia.


È di venerdì scorso la notizia dell’ordinanza del tribunale di primo grado di Venezia su un giudizio cautelare notificato dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, museo pubblico del Ministero dei Beni Culturali. La posta in gioco: un puzzle Ravensburger raffigurante il famoso disegno dell’Uomo Vitruviano del 1490, opera del genio del Rinascimento italiano Leonardo da Vinci.

I convenuti sono le aziende tedesche produttrici di giocattoli di fama mondiale Ravensburger AG, Ravensburger Verlag GMBH e la loro sede italiana rappresentata da Ravensburger S.r.l.. Sono stati citati in giudizio per aver utilizzato l’immagine del famosissimo disegno in pubblico dominio per produrre e vendere un puzzle senza l’autorizzazione o il pagamento di un compenso alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, dove l’opera fisica è conservata.

Una domanda sconcertante

Soffermiamoci su questo punto. Autorizzazione, tariffa, opera in dominio pubblico… I conti non tornano. Il pubblico dominio è costituito da opere che non sono protette dal diritto d’autore, liberamente utilizzabili da chiunque per qualsiasi scopo. Il pubblico dominio è fonte inesauribile di opere creative che ispira tutti noi e da cui dipende tutta la creatività. La tutela del pubblico dominio è infatti così importante che nel 2019 il legislatore europeo ha reso esplicito all’articolo 14 della Direttiva Europea sul Diritto d’Autore nel Mercato Unico Digitale (CDSM) che le riproduzioni non originali di opere appartenenti al pubblico dominio devono rimanere in pubblico dominio: nessuna protezione del diritto d’autore deriva dal semplice atto di riproduzione di opere in pubblico dominio, ad es. attraverso la digitalizzazione.

Allora, come mai le Gallerie dell’Accademia hanno potuto impedire a Ravensburger di utilizzare un’immagine dell’Uomo Vitruviano di pubblico dominio sui suoi puzzle? Come mai il tribunale:

  • ha inibito ai convenuti di utilizzare a fini commerciali l’immagine dell’opera “Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci e il suo nome, in qualsiasi forma e qualsiasi prodotto e/o strumento, anche digitale, sui propri siti e su tutti gli altri siti e social network sotto il loro controllo;
  • ha condannato i convenuti al pagamento alle Gallerie dell’Accademia di Venezia di una penale di 1.500 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza cautelare;
  • ha disposto la pubblicazione dell’ordinanza in estratti e/o sintesi del suo contenuto da parte delle Gallerie dell’Accademia e a spese dei convenuti su due quotidiani nazionali e su due quotidiani locali?

La risposta: il Codice dei Beni Culturali italiano

La risposta risiede in un particolare atto legislativo italiano: il Codice dei Beni Culturali italiano (D.Lgs. 42/2014). Secondo il Codice dei Beni Culturali e la giurisprudenza in materia, le riproduzioni digitali fedeli di opere del patrimonio culturale, comprese le opere in pubblico dominio, possono essere utilizzate a fini commerciali solo dietro il rilascio di un’autorizzazione e il pagamento di un canone. È importante sottolineare che la decisione di richiedere l’autorizzazione e richiedere il pagamento è rimessa alla discrezionalità di ciascun istituto culturale (cfr. articoli 107 e 108). In pratica, ciò significa che gli istituti culturali hanno la facoltà di consentire agli utenti di riprodurre e riutilizzare gratuitamente riproduzioni digitali fedeli di opere di pubblico dominio, anche per usi commerciali. Questa flessibilità è fondamentale affinché le istituzioni sostengano l’open access al patrimonio culturale.

Incompatibilità con l’articolo 14 Direttiva 2019/790 (CDSM)

Comunque sia, il sistema “autorizzazione+tassa” del Codice dei Beni Culturali generalmente infligge un duro colpo al pubblico dominio in Italia, e cosa allarmante, oltre i confini nazionali — Creative Commons richiama l’attenzione su questo aspetto nella Global Open Culture Call to Action to Policymakers. È infatti del tutto in contrasto con la legislazione UE che tutela il pubblico dominio: l’art. 32, quater della legge italiana sul diritto d’autore (legge 22 aprile 1941, n. 633) contrasta palesemente con l’intento del legislatore europeo. Questo perché l’art. 32, quater recepisce l’art. 14 Direttiva 2019/790 ma ne limita l’efficacia all’applicazione del Codice dei beni culturali. Noi di Communia abbiamo validi motivi per ritenere che ciò sia incompatibile con la lettera e lo spirito dell’articolo 14.

Anche nei casi in cui la legislazione europea non abbia di per sé effetti o applicabilità diretti nell’ordinamento giuridico nazionale degli Stati membri, essa deve sempre rappresentare un indispensabile parametro guida  per i tribunali nazionali, che sono chiamati a interpretare il diritto nazionale alla luce della legislazione europea (ossia, un obbligo di interpretazione conforme). Inoltre, esiste un divieto generale per gli Stati membri di far prevalere una norma nazionale su una norma comunitaria contraria, senza distinguere tra diritto nazionale anteriore e posteriore.

Non è l’unico caso

Quello dell’Uomo Vitruviano purtroppo non è un caso isolato. Solo pochi mesi fa commentavamo quella che contrapponeva il Museo degli Uffizi a Jean Paul Gaultier, dove il convenuto, uno stilista francese, utilizzava le immagini di un altro capolavoro del Rinascimento, la Nascita della Venere di Botticelli. Questi casi sono destinati a lasciare dietro di sé un disastro: grande incertezza sull’uso del patrimonio culturale nell’intero mercato unico, creatività ostacolata, imprenditorialità europea soffocata, opportunità economiche ridotte e un dominio pubblico diminuito e impoverito. Per affrontare tali questioni, auspichiamo che la Corte di Giustizia Europea abbia presto occasione di chiarire che il pubblico dominio non deve essere limitato, a maggior ragione da norme al di fuori del diritto d’autore e dei diritti connessi, che compromettono la chiara volontà del legislatore europeo di tutelare il pubblico dominio.

È curioso notare che, anche se l’ordinanza cautelare dovrebbe essere eseguita con specifico riferimento al puzzle dell’Uomo Vitruviano, sul sito del convenuto si possono ancora acquistare puzzle che riproducono “La Gioconda” e “L’Ultima Cena” ” di Leonardo da Vinci; “Il bacio” di Hayez e “Il bacio” di Klimt e tanti altri monumenti, opere d’arte, immagini della natura e di animali.

Liberalizziamolo

L’azione legale è il modo giusto per affrontare la questione? I procedimenti giudiziari sono costosi e non cambieranno la realtà. Un approccio diverso (compatibile con una politica di accesso aperto e la protezione del pubblico dominio) che liberalizza la fedele riproduzione del patrimonio culturale in pubblico dominio sarebbe più favorevole al turismo, all’industria creativa e al beneficio della società civile in generale. Oltre ad essere un approccio compatibile con il principio sancito dall’art. 14 della Direttiva CDSM.

Deborah De Angelis, Brigitte Vézina

Immagine: Uomo Vitruviano (dettaglio), di Leonardo da Vinci, Pubblico dominio, attraverso Wikimedia Commons

A Torino gli studenti imparano a mappare a scuola

08:18, Wednesday, 01 2023 March UTC

L’Istituto Avogadro di Torino vanta oltre 220 anni di storia, ma più che al suo lungo passato preferisce guardare al futuro. Anche cercando nuovi modi per coinvolgere gli studenti e far loro mettere in pratica le nozioni apprese a scuola, come mostra l’attività del gruppo AvoMappers.

Negli ultimi anni, diverse classi di studenti si sono susseguite all’interno del gruppo, guidato dal professor Alfonso Carlone e dal wikimediano Marco Brancolini, e hanno potuto spaziare su diversi temi: mappatura dei paesi in via di sviluppo, inquinamento atmosferico, mobilità, accessibilità e indoor mapping. Sempre utilizzando OpenStreetMap come spazio di sperimentazione e di conservazione delle proprie esperienze.

Perché OpenStreetMap funziona in classe

OpenStreetMap, da molti definito “la Wikipedia delle mappe”, è un database di dati geospaziali. Si presenta come una mappa, ma in realtà è un progetto aperto dove tutti possono intervenire aggiungendo informazioni e da cui tutti possono attingere per sviluppare mappe, applicazioni, ricerche.

Mentre Wikipedia vuole descrivere il mondo nella forma di un’enciclopedia, OpenStreetMap lo fa nella forma di una mappa. Questo lo rende uno strumento quasi più facile da usare a scuola, perché ai ragazzi e alle ragazze non si chiede di scrivere voci enciclopediche – attività che, mentre Wikipedia cresce, richiede sempre più competenze specialistiche – ma si propone di aggiungere informazioni su strade, marciapiedi, accessi per i disabili ai negozi, partendo spesso dalla propria esperienza personale.

Misurare e mappare la qualità dell’aria a Torino

Sono partiti proprio dalla propria esperienza personale gli studenti del gruppo AvoMappers che hanno realizzato il progetto RespirAvo. Utilizzando dieci campionatori mobili dell’aria acquistati con un crowd funding, i ragazzi hanno raccolto dati sull’aria nel tragitto casa-scuola.

I campionatori si possono collegare al telefono – spiega il professor Carlone – e quindi al GPS, fornendo dati geo-referenziati. Dato che gli studenti si occupano di informatica, abbiamo deciso di impegnarci per estrarre questi dati, rielaborarli e renderli disponibili a tutti su OpenStreetMap. In questo modo è stato possibile creare mappe e visualizzazioni su un sito dedicato e, grazie all’incontro con esperti su questi temi, ragionare sull’inquinamento atmosferico e sui suoi costi economici e sociali”.

Le attività hanno coinvolto nell’anno scolastico 2021/2022 ventidue ragazzi, sfruttando le ore del PCTO (l’ex progetto alternanza scuola-lavoro) e di educazione civica, per mettere in pratica le competenze informatiche apprese a scuola. Il progetto è anche stato premiato dalla Camera di Commercio di Torino tra i migliori progetti di alternanza scuola-lavoro.

Mappare dentro e fuori la scuola

Gli AvoMappers non si accontentano però di dedicarsi ad un unico tema. Già nel 2021, grazie al bando Wiki-imparare di Wikimedia Italia, avevano potuto sperimentare la mappatura da remoto con le mappe satellitari, ma soprattutto avevano potuto incontrare online altri studenti della Guinea Bissau, per scambiarsi consigli e tutorial su come mappare le aree in cui vivono.

Quest’anno invece gli studenti sono alle prese con la mappatura completa dell’istituto, con foto, dettagli sulle aule e sugli accessi. I ragazzi hanno sviluppato un’app disponibile a tutto il personale, studenti, docenti, e genitori, in una scuola che accoglie migliaia di persone ogni giorno, indispensabile per non perdersi.

Ci piace – spiega sempre il professor Carlone – usare le discipline informatiche applicate a discipline trasversali. E’ bello lavorare su questi progetti insieme ai nostri studenti: se motivati si appassionano agli aspetti pratici e hanno voglia di fare. Sono diventati così esperti che ora sono loro stessi a formare su OpenStreetMap gli studenti delle altre classi. Vedo che i ragazzi diventano più responsabili e noi docenti scopriamo nuovi metodi di insegnamento, come il learning by project, il cooperative e peer to peer learning e molti altri”.

Immagine: IIS Avogadro Classe 4CINFO 2022 2023, di Alfcar62, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons

Enti locali: come favorire l’open access

08:16, Wednesday, 01 2023 March UTC

Il 10 marzo a Verona si svolge un convegno dedicato ai comuni e agli enti locali, per spiegare come è possibile mettere a disposizione di tutti i cittadini immagini del patrimonio culturale, rispettando leggi e regolamenti esistenti. Mentre sempre più comuni grandi e piccoli sono sensibili al tema del libero accesso al patrimonio culturale, il quadro normativo è spesso confuso e scoraggiante.

L’incontro intende quindi fornire ad amministratori locali informazioni sul piano tecnico per una liberalizzazione delle immagini del patrimonio culturale di enti locali. L’appuntamento è per venerdì 10 marzo alle 15 all’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, a Verona.

Come spiega Andrea Brugnoli, tra gli organizzatori del convegno:

Si intende illustrare il valore culturale di una libera diffusione di immagini del patrimonio culturale oltreché l’opportunità economica, in termini di risparmio sulla gestione amministrativa, come evidenziato dalla Corte dei Conti, e di valorizzazione sul piano turistico, con evidenti ritorni per gli operatori locali.

E’ dunque principalmente rivolto ad amministratori locali, associazioni, istituzioni e fondazioni che operano nel settore dei beni culturali per una valutazione delle opportunità offerte da una diffusione con licenze libere e canone azzerato delle immagini del loro patrimonio, in base a quanto previsto dal Codice dei beni culturali.

Segui il convegno in streaming

Il programma degli interventi

Le immagini dei beni culturali come patrimonio condiviso: proposte per il territorio

Moderatrice: Daniela Brunelli, Direttrice Sistema bibliotecario dell’Università degli Studi di Verona

Saluti di Claudio Carcereri De Prati, Presidente dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, Roberto Giacobazzi, Prorettore dell’Università di Verona e referente per il trasferimento della conoscenza e rapporti con il territorio, Marta Ugolini, Assessora alla Cultura del Comune di Verona, Elisa La Paglia, assessora alle Biblioteche del Comune di Verona

Interventi:

  • Paolo Pellegrini (Università di Verona) – Introduzione
  • Mirco Modolo e Andrea Brugnoli  (Fotografie Libere per i Beni Culturali – Capitolo Italiano Creative Commons) – Le ali della libertà: il movimento Foto Libere per i Beni Culturali e la battaglia per la modifica dell’art. 108 del Codice dei Beni Culturali
  • Daniele Manacorda (Università Roma Tre) – 10 ragioni per una liberalizzazione delle immagini di beni culturali
  • Piergiovanna Grossi (Wikimedia Italia) – La libera circolazione delle immagini e l’impatto sul turismo: il caso di Verona
  • Alberto Castaldini (Assessore della Classe di Scienze Morali dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona) – L’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona per la libera circolazione delle immagini del suo patrimonio

Tavola rotonda:

  • Giuliano Volpe (Presidente emerito del Consiglio Superiore per i Beni Culturali)
  • Eva Degl’Innocenti (Direttrice Settore Musei Civici Bologna)
  • Deborah De Angelis (Presidente Capitolo Italiano Creative Commons)
  • Iolanda Pensa (Presidente Wikimedia Italia),

Il convegno è organizzato dal laboratorio LaMeDan del Dipartimento Cuci dell’Università di Verona, dal Sistema bibliotecario dello stesso Ateneo, dall’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, con il patrocinio del Capitolo Italiano Creative Commons e con il patrocinio e il sostegno di Wikimedia Italia.

Il progetto per i musei

I musei italiani possono collaborare facilmente con i progetti  Wikimedia, aprendosi alla condivisione della conoscenza che  custodiscono. “Tutti i musei su Wikipedia” è  il nuovo progetto che accompagna e sostiene le istituzioni culturali nel  diventare protagoniste del libero accesso al patrimonio.

Scopri come partecipare

Immagine: Ansicht von Verona, vom Giardino Giusti aus gesehen – Bavarian State Painting Collections (dettaglio), di Albert Emil Kirchner, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

GEOdaysIT a Bari dal 12 al 17 giugno

07:55, Wednesday, 01 2023 March UTC

GEOdaysIT è il nuovo evento che riunisce a Bari, dal 12 al 17 giugno 2023, tutti gli appassionati e gli esperti di mappatura, dati geospaziali aperti e OpenStreetMap in Italia.

L’Associazione Italiana di Telerilevamento (AIT), GFOSS.it APS e Wikimedia Italia hanno scelto di unire le forze e di creare un unico evento in cui radunare le loro comunità di riferimento: volontari, professionisti, curiosi o esperti di geografia, dati e informatica sono quindi attesi a Bari per il nuovo evento GEOdaysIT.

Partecipa alla costruzione di GEOdaysIT

Saranno sei giorni di presentazioni, workshop e chiacchiere all’insegna di dati, software geografici liberi e dell’Earth Observation.

Come tutti gli eventi che coinvolgono i volontari dei progetti collaborativi, è possibile partecipare fin dalla fase di ideazione. Per questa è aperta una doppia call for papers: sia per articoli accademici legati ai temi dell’osservazione della Terra; sia per contributi sui temi dei dati geografici liberi e del software open source.

Proponi le tue idee

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Un’occasione di incontro

Wikimedia Italia partecipa all’organizzazione dell’evento in quanto capitolo italiano di OpenStreetMap, il grande database collaborativo di dati geospaziali aperti.

Come ha dimostrato State of the Map a Firenze nel 2022, ogni evento è un’occasione di incontro stimolante per le comunità di volontari, che possono condividere buone pratiche, occasioni di sviluppo di nuove idee e dare forma insieme ai progetti a cui contribuiscono.

Guarda il video di State of the Map 2022

L’invecchiamento di Wikipedia

03:04, Wednesday, 28 2022 December UTC


Questo è un frammento della voce attuale di Wikipedia sulla rete tranviaria di Nizza. Tutto bene, se non fosse per il fatto che la linea 2 è in funzione dal 2019 (sono un po’ più veloci di noi, mi sa).

Non è la prima volta che mi è capitato di trovare voci create e poi lasciate lì a vegetare senza aggiornamenti. È ovvio che nessuno è obbligato a mantenere a vita una voce: però casi come questo fanno capire che non bisogna mai dare per scontato quello che si trova scritto…

(L’altra faccia della medaglia è la cancellazione immediata dei cosiddetti “recentismi”, aggiunte su fatti del giorno che tra qualche mese saranno giustamente considerati inutili…)

Anglofilia

10:04, Wednesday, 21 2022 December UTC

Per comprensibili motivi, io ricevo la rassegna stampa su Wikipedia e Wikimedia. È un po’ sgarrupata, nel senso che devo scartare tutti gli articoli che hanno semplicemente una foto (giustamente) accreditata a Wikimedia Commons, ma va bene così. In genere trovo dai 10 ai 20 articoli: oggi ce n’erano ben 71, quasi tutti dedicati al nuovo “portale enciclopedico” russo presentato ieri e quasi tutti copiati più o meno verbatim dal lancio Adnkronos. Le testate più oneste lo segnalano, le altre fanno finta di niente.

Gli unici fuori dal coro sono stati quelli di Tag43, che hanno intitolato “La Russia prende le distanze da Wikipedia, ecco Znanie”. Naturalmente Znanie in russo significa “conoscenza”, esattamente come l’inglese Knowledge. Solo che evidentemente lo stagista di Adnkronos ha preso un lancio in lingua inglese, l’ha tradotto e non ha pensato che forse i russi non avevano usato un nome inglese per il loro portale; e tutti gli altri stagisti dei quotidiani hanno copincollato il lancio d’agenzia senza farsi troppe domande, che presumo non siano compatibili coi miseri emolumenti che prendono. A questo punto però tanto valeva fare gli autarchici e scrivere che si chiamerà “Conoscenza”, no?

Io non ho nessuna idea di quale sia la linea editoriale di Tag43, ma ho molto apprezzato come hanno trattato questa notizia.

Ultimo aggiornamento: 2022-12-21 11:04

Come farsi aggiornare la voce Wikipedia su di sé

03:04, Wednesday, 21 2022 December UTC

Emily St. John Mandel è una scrittrice canadese nota per i suoi libri Stazione Undici (credo che ne abbiano fatto anche una serie tv, ma è un campo in cui non mi addentro) e Mare della tranquillità. Qualche giorno fa ha scritto un tweet chiedendo chi poteva intervistarla… per poter far sì che nella sua voce su Wikipedia (in inglese, in quella italiana non era nemmeno scritto che era sposata) che era divorziata. In qualche ora Slate ha pubblicato un’intervista dal titolo che dice “Un’intervista del tutto normale con la scrittrice Emily St. John Mandel” e catenaccio “Solo per chiedere all’autrice di Station Eleven e Sea of Tranquility che ha fatto quest’anno, tutto qui”. E in effetti la voce di en.wiki è stata immediatamente aggiornata. In realtà non serviva nemmeno l’intervista: almeno fino ad oggi, la spunta blu di Twitter è una verifica dell’identità della persona, e quindi la prima fonte che attestava il divorzio è stato quel tweet, sostituito poi dal link all’intervista.

Per quanto la cosa vi possa sembrare stupida (e sicuramente è sembrata tale a Mandel), Wikipedia funziona così. Un’affermazione deve avere una fonte affidabile, e nessuno può sapere se l’utente che scrive “Emily St. John Mandel è divorziata” è effettivamente Mandel o qualcuno che vuole fare uno scherzo. Leggendo il thread su Twitter, però, mi sa che il contributore che le ha detto che “occorreva una fonte comparabile” ha fatto un po’ di casino: come ho scritto, quello che conta è una fonte affidabile che si possa citare con tranquillità.

Un’ultima curiosità: nell’intervista a Slate, Mandel scrive che vedersi ancora definita sposata (si è separata ad aprile dal marito, e il divorzio è stato concesso a novembre) “was kind of awkward for my girlfriend”. Ieri BBC ha scritto un articolo in cui affermavano che si erano offerti anche loro di intervistare Mandel. Com’è, come non è, nel loro articolo quella frase non c’è :-)

Inventori farlocchi del tostapane

03:04, Monday, 21 2022 November UTC

Adam Atkinson mi ha segnalato questo articolo della BBC in cui si racconta come per dieci anni la voce inglese sul tostapane indicava come suo inventore una persona inesistente di nome Alan MacMasters. A quanto pare, durante una lezione universitaria il professore sconsigliò gli studenti di usare Wikipedia come fonte, facendo l’esempio della voce “toaster” dove si diceva che l’inventore era un tale Maddy Kennedy. L’Alan MacMasters reale era uno di quegli studenti, e un suo amico modificò la voce indicando come inventore appunto “Alan Mac Masters”. Il guaio è che poco dopo il Daily Mirror osannò MacMasters come un grande inventore scozzese, e le citazioni continuarono a crescere, anche perché MacMasters creò una voce sul suo inesistente omonimo con tanto di fotografia (ovviamente ritoccata per farla sembrare ottocentesca). MacMasters fu addirittura proposto come personaggio da raffigurare nelle banconote scozzesi, anche se a quanto pare la Bank of Scotland ebbe dei dubbi e lo scartò. Solo poco tempo fa un ragazzino ebbe dei dubbi sulla biografia di MacMasters e mise in moto le squadre wikipediane di verifica, che hanno scoperto la burla.

E in Italia? MacMasters non è mai stato inserito nella voce, ma nel 2018 un anonimo aggiunse il seguente capoverso:

nel 1897 Carlos Decambrè, inventò il ”tost” che si diffuse in tutta europa. questo tost veniva fatto con del pane normale, prosciutto,tacchino e diversi formaggi. Esso garantiva un buon pranzo per i nobili perchè all’epoca i salumi e i formaggi era cibo considerato da ricchi.

Peccato che le uniche occorrenze in rete del cognome Decambrè siano del tipo “Carlos Decambrè inventò il tostapane”, ovviamente senza fonti perché scopiazzature da Wikipedia senza chiaramente citarla. Questo a parte il fatto che se mi fosse capitato di vedere un’aggiunta sgrammaticata simile l’avrei cassata al volo perché senza fonti attendibili…

“contrafforte volante”?

02:04, Monday, 04 2022 July UTC

Premetto che ho molti amici traduttori :-) (e un paio di loro sono anche tra i miei ventun lettori… ma ovviamente non sto parlando di loro). In un libro (tradotto dall’inglese) che ho appena letto ho trovato a un certo punto scritta l’espressione “contrafforte volante”. Ora, come penso molti di voi io so più o meno cos’è un contrafforte, ma l’ultima volta che ne ho sentito parlare sarà stato all’inizio del liceo, cioè 45 anni fa (per me che sono anzyano: your mileage may vary). Tra l’altro manco sapevo come si dica in inglese “contrafforte”: sono andato a cercare e ho scoperto che è “buttress”. Una rapida ricerca mi ha fatto trovare la voce di Wikipedia in inglese “flying buttress”: l’ho aperta, ho controllato qual è il nome della versione in italiano e ho scoperto che si dice “arco rampante”. (Ok, a questo punto il mio neurone ha tirato fuori il disegnino dei contrafforti ad archi rampanti, ma questa è un’altra storia)

La mia domanda è semplice. È possibile che un traduttore trovi scritto “flying buttress”, traduca parola per parola, e non si renda conto che il sintagma in italiano non ha senso? È possibile che non gli sia mai venuto in mente di usare Wikipedia in questo modo non standard ma utilissimo per la terminologia tecnica? (E comunque anche Wordreference riporta la traduzione).

Fino al 15 giugno il Ministero della Cultura (MIC) ha indetto una consultazione pubblica sul Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale:

la visione strategica con la quale il Ministero intende promuovere e organizzare il processo di trasformazione digitale nel quinquennio 2022-2026, rivolgendosi in prima istanza ai musei, agli archivi, alle biblioteche, agli istituti centrali e ai luoghi delle cultura statali che possiedono, tutelano, gestiscono e valorizzano beni culturali.

Ho letto le linee guida per la circolazione e il riuso delle immagini, e ho capito che la linea del MIC – “cacciateci i soldi” – non è cambiata di una iota. La cosa peggiore è che il piano pare essere un patchwork: le sue premesse sono assolutamente condivisibili, ma nella fase di assemblaggio qualcuno ha ben pensato di disattendere tali premesse per una presunta capacità di ottenere ricavi.

Tanto per essere chiari: non c’è nulla di male se il MIC vuole creare e vendere degli NFT a partire dalle opere che ha in cura. Io non riesco a capire perché uno vorrebbe mai avere un NFT, ma è evidente che c’è gente che invece li vuole; e allora che li si faccia e li si venda. Tanto quelli sono per definizione entità non copiabili, o se preferite uniche. I problemi sono altri. Per esempio,l’avere un sistema NC (non commerciale) per default sui contenuti in pubblico dominio, cosa che è incompatibile con i progetti Wikimedia e OpenStreetMap. Il tutto con una “licenza” (non lo è, e anche nelle linee guida la cosa viene rimarcata) “MIC Standard” che porterà a risultati parossistici. Mi spiego meglio. Se qualcuno chessò negli USA pubblica una traduzione non autorizzata del mio Matematica in pausa caffè, il titolare dei diritti (Codice Edizioni) può contattare le autorità statunitensi, bloccare la vendita e citare a giudizio il malcapitato editore. Questo perché le leggi sul diritto d’autore sono state (più o meno) armonizzate in tutto il mondo, e quindi i diritti di sfruttamento economico sono tutelati ovunque. Ma se lo stesso qualcuno usa commercialmente un’immagine del Colosseo con l’etichetta – esplicita o implicita – “MIC Standard”, il ministro può strillare quanto vuole ma non succederà nulla, perché dal punto di vista delle autorità USA quell’immagine è nel pubblico dominio. Insomma, gli unici eventuali guadagni arriverebbero dai nostri compatrioti, mentre all’estero potrebbero fare quello che vogliono.

Per quanto riguarda Wikipedia Commons, c’è persino una citazione esplicita:

Il download di riproduzioni di beni culturali pubblicati in siti web di terze parti non è sotto il controllo dell’ente pubblico che ha in consegna i beni (ad es. le immagini di beni culturali scaricabili da Wikimedia Commons, realizzate “liberamente” dai contributori con mezzi propri per fini di libera manifestazione del pensiero e attività creativa, e quindi nella piena legittimità del Codice dei beni culturali). Rimane nelle competenze dell’istituto culturale l’applicazione di corrispettivi per i successivi usi commerciali delle riproduzioni pubblicate da terze parti.

Rileggete questa frase. Ve la traduco in italiano corrente: Wikimedia Commons viene trattata alla stregua di una vetrina pubblicitaria dove l’unico lavoro da parte dello stato è farsi dare i soldi da chi prende da lì del materiale. Come forse immaginate, non è che la cosa ci piaccia più di tanto…

Ah: al MIC non piace proprio la CC0, la licenza che formalizza il rilascio di un oggetto o un’informazione nel pubblico dominio. Infatti (grassetto mio) si legge che

l’uso di dati e riproduzioni digitali del patrimonio culturale per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza, che non abbiano scopo di lucro diretto è libero per legge;

Quindi anche i metadati – a differenza per esempio di Wikidata, dove tutti gli elementi presenti hanno licenza CC0 – sono sotto una licenza di tipo NC. La digitalizzazione dei metadati è insomma qualcosa che si può fare solo per offrirlo poi gentilmente al MIC che sicuramente ci farà tanti soldi. Che gioia, vero?

L’età dei personaggi pubblici

02:04, Tuesday, 17 2022 May UTC


Magari qualcuno si può chiedere perché l’anno scorso GQ ha pensato di dedicare un articolo a Stefania Rocca per il suo… quarantaseiesimo compleanno. A parte Valentino Rossi, il 46 non è che dica molto, non è mica il quarantadue! Se questo qualcuno è curioso, però, magari dà un’occhiata all’URL dell’articolo e scopre che c’è scritto “stefania-rocca-50-anni-rock”. In effetti, ricordare il cinquantesimo compleanno ha molto più senso, su questo non ci piove. E in effetti si fa in fretta ad andare sull’Internet Archive e vedere che l’articolo originale si intitolava “Stefania Rocca, i primi 50 anni di un’anima rock”.

L’altra settimana, però, la signora Rocca e/o il suo agente hanno deciso che il passato era passato, e quindi l’età della signora Rocca è di soli 47 anni. Per posti come GQ ci devono essere argomenti molto convincenti per fare riscrivere un articolo pubblicato l’anno scorso; su Wikipedia la cosa potrebbe sembrare banale ma in realtà è un po’ più complicata, come potete vedere. Mi è stato riferito (ma potrebbe essere una malignità…) che l’agente in questione ha mandato alla Wikimedia Foundation un codice fiscale della signora Rocca dove risulta il 1975 come data di nascita… ma il codice fiscale in questione corrisponde a un maschio e non a una femmina.

Ad ogni modo, la signora Rocca non è certo l’unica persona a cercare di inserire su Wikipedia una data di nascita diversa da quella che era sempre stata considerata tale in passato. Il primo caso che mi viene in mente è quello del mago Silvan (simsalabim!), ma anche Elisabetta Sgarbi, come già scrissi, afferma di essere nata nel 1965 come anche riportato dalla Treccani: il talento della signora Sgarbi si notava fin da ragazza, considerando che ha conseguito la laurea in farmacia nel 1980… Avevo anche segnalato alla Treccani che nel sito c’era stato uno scambio di caratteri, e il 1956 che è la data di nascita della signora Sgarbi era diventato 1965, ma non mi hanno mai risposto. Non so se Wikipedia abbia più errori della Treccani, ma sicuramente correggerli è più semplice!

Cina, Wikipedia e copyright

10:12, Thursday, 12 2022 May UTC

Probabilmente non ve ne sarete accorti, visto che la notizia è passata solo su Wired (dove il titolista fa ancora fatica a distinguere Wikipedia da Wikimedia…) e CorCom: per il terzo anno consecutivo la Cina ha bloccato l’ingresso del movimento Wikimedia come osservatore in WIPO, l’agenzia delle Nazioni Unite che ha lo scopo di incoraggiare l’attività creativa e promuovere la protezione della proprietà intellettuale nel mondo. Dopo due anni in cui Wikimedia Foundation ha inutilmente cercato di essere accreditata, stavolta le richieste sono state fatte da alcuni capitoli nazionali (Francia, Germania, Messico, Svezia e Svizzera oltre all’Italia), e la richiesta esta stata portata al Comitato Permanente sul Copyright e i Diritti Connessi (SCCR) di WIPO. Niente da fare: come le altre volte, la Cina ha dichiarato he anche i capitoli Wikimedia locali sono complici nel diffondere disinformazione. Negli anni passati il dito veniva puntato contro Wikimedia Taiwan, indicato come eterodiretto dalla Foundation: quest’anno direi che non c’è nemmeno stato bisogno per i cinesi di cercare di spiegare quale disinformazione sul copyright cinese viene propagata da Svezia o Messico. A questo punto Nicaragua, Bolivia, Venezuela, Iran e Russia hanno colto la palla al balzo e fatto rinviare la decisione sull’accreditamento per mancanza di unanimità.

Anche ammettendo che Wikimedia Taiwan faccia opera di disinformazione assoldando persone che scrivano sulle varie edizioni linguistiche di Wikipedia, resta il punto di partenza. Qui stiamo parlando di un comitato che parla di copyright e diritti connessi – cosa che ci ha sempre visti coinvolti come Wikimedia Italia. Essere membri osservatori non ci avrebbe per definizione dato il diritto di voto, ma ci avrebbe permesso di far sentire meglio la nostra voce su temi di cui ci occupiamo da sempre. Invece nulla da fare, e questo per ragioni prettamente politiche e indipendenti dal tema istituzionale. Non che ci aspettassimo chissà cosa, ma resta un peccato…

Ultimo aggiornamento: 2022-05-12 12:12

Su Valigia Blu, Bruno Saetta spiega la decisione della Corte di Giustizia europea su una richiesta da parte della Polonia (fatta nel 2019…) a proposito dell’articolo 17 dell’ormai famosa direttiva copyright. La Polonia chiedeva che fossero abolite le norme per cui i fornitori di servizi digitali devono attivarsi per fare in modo che nei loro servizi non siano disponibili opere in violazione dei diritti d’autore, o in subordine, se queswto non fosse tecnicamente possibile perché l’articolo non sarebbe rimasto in piedi, abolire tutto l’articolo. La ragione della richiesta era semplice: per controllare preventivamente tutto il materiale postato dagli utenti, i fornitori di servizi sarebbero stato costretti ad applicare sistemi di filtraggio automatico, cosa che sarebbe andata contro il diritto alla libertà di espressione e di informazione degli utenti.

La Corte di Giustizia europea ha respinto la richiesta, e quindi le cose restano come ora. È però importante capire come ha giustificato la sua decisione, perché si scoprono molte cose. Innanzitutto, il filtraggio preventivo è in effetti una limitazione al diritto alla libertà di espressione e di informazione degli utenti; quello che fa la direttiva è trovare un punto di compromesso tra questi diritti fondamentali e quelli dei proprietari dei contenuti. Attenzione: diritti dei proprietari, non degli autori! Saetta ricorda tra l’altro che se le aziende del copyright ci tengono a precisare che anche loro difendono i diritti fondamentali – un caro saluto a Enzo Mazza, già che ci sono… – il relatore ONU per i diritti culturali ha fatto presente che nel campo della proprietà intellettuale i diritti fondamentali sono solo i diritti morali, vale a dire affermare che l’opera è mia. E questi diritti, a differenza di quelli economici, non sono trasmissibili.

La seconda cosa da notare è che proprio perché si afferma che c’è una limitazione ai diritti degli utenti si ammette implicitamente che il filtraggio automatico è imposto dalla direttiva: altrimenti il problema non si porrebbe. Eppure, come leggete per esempio qui, l’ineffabile relatore Axel Voss aveva twittato dicendo che questo era una falsità e che quindi non ci fosse più motivo per non approvare la direttiva. (Come? il tweet originale non esiste più? Ah, signora mia, che vergogna! Non ci si può fidare di nessuno!) Vabbè, ma tanto questo lo sapevamo già.

Seguono infine i paletti (o se preferite, le garanzie) a tutela degli utenti finali: dalle segnalazioni dei titolari dei diritti che devono essere circostanziate (insomma, non basta dire “avete roba mia”) al non dover bloccare i contenuti leciti (e una parodia è un contenuto lecito) a un meccanismo di reclamo funzionante se qualcuno cancella del materiale che riteniamo essere lecito. Ma soprattutto, i fornitori non hanno alcun obbligo di sorveglianza generale dei contenuti immessi dagli utenti. Non sono loro a dover giudicare se un contenuto è stato caricato illegalmente, ma i giudici.

Il tutto funzionerà? Probabilmente no. Quello che pare certo è che al momento le uniche implementazioni della direttiva che rispettano questi principi sono l’austriaca e la tedesca. Quella italiana no, ma non lo sono neppure la francese e la spagnola che pure dicevano di essere stati bravissimi. Aspettatevi altri ricorsi…

Che ne sapete del Digital Services Act?

10:04, Tuesday, 26 2022 April UTC

La scorsa settimana il trilogo ha approvato una formulazione più o meno finale per il Digital Services Act, che assieme al gemello Digital Market Act rappresenterà la regolamentazione dell’Unione Europea per i servizi digitali. Anche Wikipedia ne sarà toccata; stasera alle 21:30 chiacchiererò con Marco Schiaffino nella trasmissione di Radio Popolare Doppio click. Spero di sapervi dare qualche notizia… i documenti ufficiali non sono infatti ancora stati pubblicati.

Ultimo aggiornamento: 2022-04-26 12:36

Truppe d’assalto a Wikipedia

02:04, Friday, 01 2022 April UTC

Dopo il caso Orsini è arrivata la nuova campagna contro la fascistissima Wikipedia. Da mercoledì sera la casella di posta dei comunicati di Wikimedia Italia ha ricevuto questi messaggi.


– Stefano V.:
Salve, leggo che Wikipedia è un Enciclopedia libera, quindi mi spiega perché della porcata sulla pagina della Strage di Odessa? Perché dopo 8 anni avete cambiato proprio ora? Ha una spiegazione a questo?


– E. Bosisio:

Buonasera,

Ritengo vergognosa la manomissione della pagina Wikipedia riguardante il rogo avvenuto nel 2014 nel palazzo dei sindacati ad Odessa.

Sono stati rimossi i riferimenti ai carnefici, cioè i gruppi paramilitari nazionalisti e nazisti ucraini, che poi influenzeranno la vita politica del paese.

Spero venga ristabilita la verità nella pagina.


– Rossella C.:

Vergognatevi


– vitojc.:

Reclamo in allegato: hanno manipolato la Vostra pagina. Non riceverete più contributi se mantenete e continuate falsificazioni storiche. [l’allegato è un’immagine con doppio screenshot della voce, “prima” e “dopo”]


Il tutto a quanto ho capito è partito da un post Facebook di La fionda, ripreso da L’antidiplomatico.

Cosa è successo? Per avere un’idea, ecco alcune versioni della voce.

&diamond prima versione, novembre 2020, con il nome “Rogo di Odessa” (e non certo filoucraina)

&diamond aprile 2021, subito prima della sua rinomina, fatta senza nessuna discussione da un utente con la motivazione “Rinomino in strage, come viene riportata su numerose fonti attendibili”; le fonti diverse nella voce erano tre e usavano rispettivamente “strage”, “rogo”, “incendio”. (differenze)

&diamond Fine 2021, prima dell’escalation che poi ha portato all’attacco russo (differenze)

&diamond 21 marzo 2022, prima di un’aggiunta di altre notizie e del ritorno al nome originale. (differenze)

&diamond versione del 30 marzo 2022, quella attuale al momento in cui scrivo (differenze)

Insomma: è un po’ difficile affermare che in otto anni si è cambiato solo ora, visto che la voce ha due anni e che aveva preso quel nome dieci anni fa. Nella versione attuale, qualunque sia il titolo della voce, a me pare che siano chiare le responsabilità dell’Ucraina nel cercare di insabbiare l’operato dei neonazisti, e il Pravyj Sektor è regolarmente citato. Ma non vale la pena spiegare le cose ai signori di cui sopra, che non credo abbiano alcun interesse a leggere davvero cosa c’è scritto: altrimenti si sarebbero accorti che nella pagina web dove si trova l’indirizzo a cui mi stanno scrivendo è specificato che Wikimedia Italia non ha alcun controllo sulla voce. (Non starete mica pensando che ci sia qualcuno che dica “scrivete a press, così vi farete ascoltare!”?)

Un’ultima chicca. Non sono molte le versioni di Wikipedia che hanno una voce al riguardo, anche quella inglese ne parla all’interno degli scontri del 2014. Però c’è quella russa, che si intitola Пожар в Одесском доме профсоюзов, cioè incendio al palazzo dei sindacati di Odessa. Evidentemente i nazisti si sono infiltrati anche lì, con la scusa che la Russia sta bloccando l’accesso a Wikipedia lasciando liberi i nazisti russofoni all’estero di vandalizzarla…

aggiornamento: (7 aprile) stanotte alle 2:20 ha scritto all’indirizzo di Wikimedia Italia un tal “ivan tighi” (google non mi ha dato nessuna occorrenza, quindi scrivere nome-e-cognome non dovrebbe essere un problema di violazione di privacy) cominciando con “Caro Jimmy,” (e scrivendo in italiano, ça va sans dire). Magari capite perché non rispondo nemmeno più: se uno è convinto di scrivere direttamente alla Wikimedia Foundation è inutile cercare di spiegargli come funzionano le cose.

Ultimo aggiornamento: 2022-04-07 08:45

No, Orsini non è stato “oscurato” da Wikipedia

10:00, Saturday, 26 2022 March UTC

Sono più di vent’anni che esiste Wikipedia, e più di vent’anni che almeno i nostri giornalisti non hanno ancora capito come funziona. (Oppure che non gliene importa un tubo, o ancora che pensano che mettere Wikipedia in un titolo porti più visualizzazioni e quindi più soldi…) Prendete questo articolo del Corsera e guardate il titolo: quello che si può capire è che Wikipedia ha oscurato la voce su Alessandro Orsini perché “ha detto cose scomode” o qualcosa del genere.

La verità è un’altra. Fino all’altra settimana, nonostante l’evidente narcisismo di Orsini, non esisteva nessuna voce di Wikipedia su di lui: insomma, non se lo filava nessuno. Dopo che il Messaggero l’ha – se non ho capito male – censurato, i suoi solerti seguaci hanno scambiato Wikipedia per un social network e hanno cercato di creare la sua fanpage, che è stata regolarmente e immediatamente cancellata in tutte le sue incarnazioni dai nomi improbabili (“Alessandro Orsini (giornalista)”, “prof Alessandro Orsini”…). Tutto qua.

La vera domanda è un’altra. Orsini è da considerarsi “enciclopedico”, cioè una personalità rilevante, secondo le regole di Wikipedia? Beh, probabilmente sì. Nel 2010 vinse infatti il Premio Acqui Storia che dovrebbe essere importante – uso il condizionale perché non è il mio campo, e non per nulla io non sono nemmeno entrato nella discussione che si sta avendo al riguardo. In questo caso, non appena il polverone mediatico si sarà posato, immagino che la voce su di lui verrà scritta, e queste polemiche saranno riportate con la corretta enfasi come per esempio nel caso di Donatella Di Cesare. La censura insomma non c’è, checché ne pensino i solerti seguaci di cui sopra e forse anche l’estensore dell’articolo…

Ultimo aggiornamento: 2022-03-26 11:00

Dopo il primo articolo della scorsa settimana riguardo alla voce sull’invasione dell’Ucraina, ieri è stato pubblicato sul digitale (e credo oggi sul cartaceo) un articolo più completo (putroppo riservato agli abbonati).

Lasciamo da parte il fatto che continuino a parlare della fantomatica “Wikipedia Italia” (e dire che invece c’è “Wikipedia in lingua russa”… non riesco a capire quale sia per loro la differenza): evidentemente non ci arrivano. Partiamo invece dalle buone notizie: le affermazioni di Ruthven (il wikipediano intervistato dal giornalista) vengono riportate correttamente. Da questo punto di vista insomma non c’è nulla di cui lamentarsi. Quello che io ho trovato interessante è leggere nemmeno troppo tra le righe la posizione del gruppo GEDI, che è chiaramente antirussa. Insomma, il problema non mi parte tanto che Wikipedia sia o non sia un news media quanto che venga ritenuta non allineata con la scelta di campo di Elkann…

Poi vabbè, c’è il solito peana per la Treccani, dove «sono state aggiunte molte più informazioni di quelle che hanno trovato spazio, nelle tre settimane successive all’inizio del conflitto, su Wikipedia Italia.» Ho guardato ieri pomeriggio la voce relativa: ieri pomeriggio c’erano venti righe, dove tra l’altro si dice che «la Russia ha avviato una “operazione militare speciale” nel Paese, invadendo la regione di Kiev». In effetti hanno usato un punto di vista ancora più neutrale di quello wikipediano :-)

Martedì avrò parlato per una ventina di minuti con il giornalista che ha pubblicato questo articolo, e un altro wikipediano che era più addentro di me avrà ancora aggiunto qualcosa: eppure l’articolo afferma che è stata “Wikipedia Italia” a pubblicare la sua voce sull’invasione russa dell’Ucraina. Sono più di quindici anni che cerchiamo di spiegare che esiste Wikipedia in italiano (o se preferite in lingua italiana) e non Wikipedia Italia, ma niente da fare, non riusciamo a fare entrare il concetto.

Ma la cosa che mi lascia (e mi aveva lasciato martedì) più perplesso è un’altra: l’incredulità perché la versione italiana di Wikipedia era l’unica che non aveva una voce sull’invasione e si limitava a una bozza, incredulità che si avvicinava a una bocciatura piena del modello it.wiki. Basta vedere la terminologia: la voce italiana “appare sicuramente più scarna”, e non per esempio “è sicuramente più minimale”, con un aggettivo più neutro. (Per la cronaca: dire che la voce “è rimasta praticamente nascosta agli occhi dei lettori” è corretto, ed essendo io tanto buonino non mi lamento neppure per il grassetto). Scrivere di una guerra in corso è qualcosa di estremamente scivoloso: le notizie si susseguono e non c’è la possibilità di verificarle in modo indipendente. Certo, che ci sia stata un’invasione è fuori d’ogni dubbio, così come altre notizie. Certo, la struttura stessa di Wikipedia permette di emendare eventuali errori. Ma guardiamoci in faccia: è forse Wikipedia un news media? Evidentemente no. Ci sarebbe al più Wikinotizie, ma non se lo fila nessuno. Non vedo insomma nessun guaio se si evita di scrivere di tutto e di più su questa guerra: tanto ai lettori non mancano certo altre fonti a cui rivolgersi. Potremmo al più dire che si va su Wikipedia per cercare un punto di vista neutrale, che fino a martedì sera mancava; ma proprio perché io opero da una vita su Wikipedia vi posso assicurare che pur con le migliori intenzioni di tanti contributori non è affatto detto che su temi come questo si possa raggiungere l’oggettività in tempr reale.

Mi resta solo un dubbio: perché questa stroncatura specifica arrivi da un giornalista, che in fin dei conti ha tutto da guadagnare nel non essere in concorrenza su Wikipedia a riguardo di questo tema. Mah…

No, Wikipedia non è il tuo spot pubblicitario

03:04, Friday, 28 2022 January UTC

Premetto che in questo post non scriverò nulla che possa farvi risalire alla persona in questione. (Ok, con un minimo di ricerca uno ci può arrivare lo stesso. Ma il mio scopo non è mettere alla berlina una persona bensì un ragionamento).

Una voce di Wikipedia è stata aggiornata dicendo che è stata apposta una targa commemorativa della persona di cui la voce tratta, con collegamento a un sito dove si racconta il perché e il percome della cosa. Fin qui nulla di male. Da un po’ di tempo, la persona che ha fatto mettere la targa sta cercando di aggiungere all’interno della voce che “L’iniziativa della targa è stata presa da [Nome Cognome]” e io (ma non solo io: semplicemente quella è una delle voci che di solito controllo) tolgo quella frase. La persona in questione insiste, scrivendo nell’oggetto della modifica frasi come «on capisco perché continuate a cancellare una informazione importante della bio. Sono giorno che sto provando ad aggiungere, in fondo, che l’iniziativa a targa è stata curata da [Nome Cognome]. Come potete leggete nell’articolo (nota numero 4).» Non pago di questo, è andato a cercare qui sul blog il modulo per scrivermi, mi ha mandato un messaggio su Instagram ed è andato a chiedere al mio editore come contattarmi. Presumo mi abbia scritto anche su Facebook, ma è dal 22 che non mi collego, visto che non ho tutta quella voglia di attivare la 2FA. (Ah: la mia politica è di non rispondere fuori da Wikipedia alle cose di Wikipedia: non tanto per non mischiare i flussi ma perché le risposte non sarebbero pubbliche. No, non ha mai scritto su Wikipedia, né sulla mia pagina utente né sulla pagina di discussione relativa a quella voce. D’altra parte in questo momento è bloccato in scrittura su quella singola pagina con motivo “Wikipedia è un’enciclopedia, non un modo per farsi pubblicità a costo zero. Al lettore interessa sapere che è stata posta una targa. Poi se vuole apre il link con la fonte.”, quindi la risposta ce l’ha già).

La mia domanda, ammetto retorica, è “ma tu, caro [Nome Cognome], credi davvero davvero davvero che importi a qualcuno che non sei tu sapere chi ha fatto mettere una targa commemorativa? E se è così, non facevi prima a scriverlo in fondo alla targa in questione?”

The Ludwig Wittgenstein Project

03:04, Friday, 21 2022 January UTC

Dal primo gennaio 2022 le opere di Ludwig Wittgenstein sono nel pubblico dominio, almeno in Europa. Sì, nonostante tutti i lacci e lacciuoli – tra qualche giorno magari vi racconto qualcos’altro al riguardo – cose come queste capitano ancora. Per festeggiare, un gruppo internazionale di traduttori ha creato The Ludwig Wittgenstein Project, un progetto per tradurre le opere del filosofo tedesco e pubblicarle con licenza libera. (Nel caso non lo sapeste, se le opere di un autore sono sotto copyright non è possibile tradurle liberamente, perché il copyright copre anche i diritti di traduzione) Noi di Wikimedia Italia abbiamo contribuito finanziariamente al progetto, e ne siamo fieri. (Che poi io non leggerei mai Wittgenstein, ma è il principio che conta!)

Il primo MOOC italiano su Wikipedia!

03:04, Thursday, 23 2021 December UTC

Sono felice di segnalare che l’Università di Padova ha aperto le iscrizioni alla prima edizione del MOOC di Wikipedia, sviluppato con la collaborazione di Wikimedia Italia.

Il corso inizierà il 15 gennaio 2022: è gratuito e aperto a tutti, anche se è pensato principalmente per chi vuole contribuire all’enciclopedia libera. La piattaforma che ospita il corso è EduOpen, creata da una federazione delle maggiori università italiane: notate che anche se in genere i contenuti EduOpen sono rilasciati con una licenza CC-BY-NC-SA, in questo caso specifico il materiale sarà disponibile anche per riuso commerciale, quindi con licenza CC-BY-SA.

Mi affretto ad aggiungere che io non sono stato coinvolto in nessun modo nella creazione di questo corso. Inoltre, essendo una nostra “prima assoluta”, non garantisco che sia perfetto: sono però certo che sia già buono e che, in perfetto stile wiki, gli errori e le imprecisioni verranno corrette in futuro.

Cosa ne sapete del Digital Service Act?

13:04, Friday, 19 2021 November UTC

Come forse vi sarete accorti, i lavori del Parlamento e della Commissione Europea non sono mai molto trattati dai nostri media, salvo all’ultimo momento quando i giochi stanno per essere fatti. Lo stesso sta capitando per il Digital Service Act, che insieme al suo gemello Digital Market Act intendono rivedere da zero il modo in cui il mercato digitale funziona in Europa. Tra l’altro, la proposta sarà di fare un regolamento (come nel caso del GDPR) e non una direttiva, il che significa che non ci sarà la fase di recepimento negli ordinamenti nazionali ma verrà direttamente applicato, tipicamente due anni dopo la promulgazione per dare tempo ai vari attori di adeguarsi.

L’iter sta andando avanti da un po’: per il momento ci sono i pareri dei parlamenti nazionali (qui il nostro), quello della Commissione e le prime discussioni nell’Europarlamento. I principi su cui il DSA si basa sono condivisibili: tutelare di più i consumatori finali e allo stesso tempo ribadire che “ciò che è illecito offline deve essere illecito anche online”. Soprattutto per quanto riguarda il primo punto, ricordo che storicamente è l’Europa a trainare il pianeta per quanto riguarda i diritti dell’utente finale, con gli USA che tipicamente arrancano e arrivano con qualche anno di ritardo (Russia, Cina, India, Brasile e resto del mondo: non pervenuti). Purtroppo però, come racconta Bruno Saetta su Valigia Blu, non tutto sta andando così bene. Il tiro alla fune tra i produttori di contenuti che non vogliono che la pirateria tagli i loro guadagni e le lobby delle grandi piattaforme social che per trattenere i propri utenti caldeggiano le loro interazioni e i caricamenti di materiale lascia come sempre a terra chiunque abbia un modello diverso di gestione.

Stavolta se ne è accorta persino la Wikimedia Foundation, che di solito è totalmente US-centrica. In pratica, la proposta attuale dell’Europarlamento dà tempi molto ristretti per la cancellazione di materiale illegale da parte delle piattaforme, e riduce molto il concetto “finché io non so che da me c’è qualcosa di illegale io non sono fuorilegge” che è alla base dell’attuale direttiva eCommerce. Il risultato pratico di tutto ciò è che molto probabilmente saranno implementate procedure automatiche tarate in modo da essere certi di eliminare contenuti illegali: se poi ci scappa un po’ di roba che illegale non era, le si rubricherà come necessari effetti collaterali. Peccato che Wikipedia non funzioni con strumenti automatici, ma con controlli umani. I controlli tipicamente funzionano anche bene: qual è l’ultima volta che avete trovato al suo interno contenuti sotto copyright? Certo, ne arrivano sempre; ma la comunità non aspetta che qualcuno segnali la cosa, e se leggono o guardano qualcosa che puzza di materiale protetto vanno alla caccia dell’eventuale originale e poi cancellano (anche dalla cronologia della voce, le cose si fanno per bene).

Quello che chiediamo è un testo finale che tenga conto che ci sono modi diversi per arrivare allo stesso obiettivo finale – togliere il materiale illegale – e che non si può pensare di operare con il principio one-method-fits-all. Il guaio è che non abbiamo la potenza di fuoco per fare lobbying come i grandi operatori di cui sopra, e l’unica nostra possibilità è far sentire la nostra voce sui media attualmente silenti; i miei ventun lettori putroppo non fanno massa critica. Per i curiosi, il testo della lettera aperta della Wikimedia Foundation si trova sul loro sito: (per i diversamente anglofoni, c’è la traduzione) trovate anche una citazione del vostro affezionato tenutario. Provate a dare un occhio in giro su cosa si leggerà, e speriamo in bene!

Ultimo aggiornamento: 2021-11-19 15:17

Il Senato ci ha ri-audito

08:04, Wednesday, 13 2021 October UTC

Dopo che il ministero della Cultura quest’estate si era dimenticato di noi nelle audizioni per ottenere commenti sulla legge delega che implementerà anche in Italia la direttiva europea sul copyright, il Senato ci ha permesso di raccontare cosa non va in quel disegno di legge. (Che ci siano cose che non vadano l’ha anche detto il garante antitrust, tanto per dire). Wikimedia Italia e Creative Commons Italia si sono uniti per l’audizione, che potete vedere sul sito del Senato dal minuto 38:44 circa.

Questa volta non sono stato io il relatore, ma al minuto 53:28 circa potete vedere la mia bella faccia fare una puntualizzazione (rispetto all’affermazione di un’associazione audita prima di noi, che diceva che in Francia e UK i musei fanno i soldi vendendo le riproduzioni delle loro opere). E soprattutto i miei fan possono vedermi in giacca e cravatta :-)

Aggiornamento: (18 ottobre) chi ha più fretta può vedere solo il pezzo con i nostri interventi su YouTube.

Ultimo aggiornamento: 2022-11-07 13:03

Cina e Taiwan come lupo e agnello

02:04, Friday, 08 2021 October UTC

Avete tutti letto della prova di forza della Cina, che in questi giorni ha ripetutamente violato lo spazio aereo taiwanese. Ma probabilmente non avete letto che per la seconda volta di fila la Cina ha posto il veto sull’ingresso di Wikimedia Foundation come osservatore in WIPO, l’organismo sovrannazionale che si occupa della proprietà intellettuale e del copyright.

Non che un osservatore – che per definizione non ha diritto di voto – possa fare molto; però la Cina ha sostenuto che i progetti collegati a Wikimedia «contengono contenuti errati e favoriscono disinformazione in merito alla politica del “One-China-principle” che vede Taiwan come parte della Cina.». D’altra parte, già Wikipedia è generalmente bloccata in Cina; però bisognerà pur cominciare a bloccarla nel resto del mondo, no?